L'ALLIEVA (2005)
di Paolo
Di certo "L'Allieva" non è un disco adatto a tutti. Chi è digiuno di un
genere come il jazz potrebbe rimanere spiazzato al primo ascolto di queste
quattordici tracce.
Non aspettatevi niente di modaiolo da questo disco.
Siamo all'antitesi di "Bula Bula".
Chi non ha orecchie allenate ad ascoltare questo tipo di musica
potrebbe rimanerne addirittura annoiato. Potrebbe trovarla retrò e giudicare
che ogni pezzo assomiglia al precedente.
Forse la caratteristica principale del disco è che non può essere
ascoltato distrattamente. Richiede attenzione, altrimenti si corre il
rischio di non comprenderlo e rimanerne delusi. Bisogna cercare di
assaporare lentamente le storie che Mina dipinge con la musica. Non ha senso
ascoltare la musica senza concentrarsi sui testi (ed è lamentabile che il
libretto non li riporti). Bisogna avere la pazienza di lasciar sedimentare
le atmosfere e i sentimenti che evocano i differenti brani.
Non c'è che dire. Un grande tributo alla musica di Frank Sinatra, ma
anche alla sua "maestra" Billie Holiday. Una scaletta che non è pienamente
rappresentativa della carriera di "The Voice". Le scelte di Mina non
riflettono i due lati della carriera discografica di Sinatra, in quanto
privilegia il lato "ballads", trascurando il
lato "swing".
Mi sono piaciute praticamente tutte le tracce, ma sono degne di
particolare menzione "These Foolish Things", "The Nearness of You" e "My Way".
Le prime quattro credo appartengano alla stessa sessione ("Mina in
Studio 2001"). Curiosa la citazione battistiana in chiusura di "Once I Loved",
che ricalca il finale di "Non è Francesca", molto attenta all'originale "One
for my Baby".
Mina vola più alta, dispiegando la voce in "Angel Eyes", già affrontata
all'età di ventiquattro anni nel mitico "Mina" (1964).
Immaginate un club aperto solo la notte che ospita una piccola
formazione intenta a prodigarsi per intrattenere i presenti, che cuciono
attorno alla cantante atmosfere di estrema rarefazione. Stiamo parlando di
strumentisti che, insieme a lei, tessono le fila di musica di classe. Avrete
così un quadro esatto della gamma di sensazioni che "L'Allieva" è in grado di
stimolare: fumose, dense, ispirate, estraniate ed estranianti.
"Strangers in the Night" offre una pausa "pop". È risaputo quanto Frank
Sinatra odiasse quel "dubidubidu" con cui si chiudeva il brano che nel 1966 gli
regalò un'inaspettata seconda giovinezza artistica. Non ha mai amato quella
canzone e pare che altrettanto si possa dire anche di Mina, che tuttavia la
incide due volte. Troppo "gigionesca" la versione dell'84, piuttosto
bamboleggiante ed ironica questa, che del "dubidubidu" fa addirittura il punto
di forza.
Segue "All the Way" in cui Mina è abbastanza in linea con l'originale,
ma con dei toni sofferti e una voce a tratti graffiata, un po' eccessiva per
quello che il testo esprime.
Fedele alla versione di Sinatra nell'intensa e impegnativa "Good-Bye".
Un accompagnamento musicale accattivante introduce "Dindi". Lo considero
uno dei punti più toccanti del disco. Fa tenerezza la ripresa di Mina a più
di quarant'anni di distanza di un brano fra i più belli della discografia
Italdisc. È resa molto bene, ma a mio parere non c'è paragone con la
freschezza dell'incisione del tempo dei suoi ventitre anni.
"My Way" giunge quasi nel momento in cui l'ensemble, stanco di suonare,
abbandona gli strumenti e se ne va. Le luci si spengono. Rimane solo il
chitarrista ad accompagnare Mina nella drammatica e straziante "My Way",
impostata quasi esclusivamente sui toni medi, graffiata, sofferta, vissuta.
Cambio di scena.
Il piccolo e fumoso club notturno scompare per lasciare il posto ad
uno studio di registrazione. Gli orchestrali prendono posto e fa il suo
ingresso il direttore Gianni Ferrio, che sa guidare la voce di Mina in toni
ora morbidi, ora svettanti, da "Only the Lonely" all'intensa e vibrante "Laura",
passando per "April in Paris", resa in versione corta, ma fedele alla
tradizione.
La traccia video non è di eccelsa qualità. Presenta materiale escluso
da "Mina in Studio 2001", con una versione di "Blue Moon" che si discosta di
poco da quella della sesta traccia del CD.
Che dire a questo punto? Un disco che sicuramente impegna molto
nell'ascolto, un insieme di musicisti, che non scende a compromessi con
qualsiasi forma di logica commerciale, interpreti di una musica complessa,
notturna e visionaria, a tratti spiazzante ma di sicuro interesse, da
ascoltare più volte.