LA MIA MINA
di Paolo
Nell’ottobre del 59 con il Musichiere era uscito "Ho scritto col fuoco" di Mina. La cosa mi aveva molto sorpreso. Di solito nei flexi del Musichiere uscivano canzoni con interpreti diversi rispetto alle versioni in voga alla radio o nei juke-box. Ad inaugurare la serie dei flexi del Musichiere era stato "Con tutto il cuore" interpretata da Anita Traversi con l’Harmon-Pells Ensemble (n. 20001), un disco che miracolosamente conservo tuttora a distanza di oltre quarantacinque anni.
A rendere popolare questa canzone in Italia era stata Betty Curtis. Non ero un assiduo acquirente del Musichiere. Qualche rivista di tanto in tanto, quando le mie poche finanze me lo consentivano. Erano seguite altre canzoni come "Signorinella" cantata da Vittorio De Sica. Quei pochi dischi costituivano la mia discoteca "virtuale". Virtuale perché non possedendo un radiogrammofono non le potevo ascoltare mai. Erano dischi snobbati da coloro che possedevano un giradischi. Sul finire degli anni cinquanta non erano tante le famiglie del mio caseggiato ad averlo. Uno delle poche era quella di Aldo, un ragazzino che aveva un anno più di me e la cui madre aveva una sartoria. La mamma di Aldo aveva il suo laboratorio in centro e a casa non c’era mai. Rimanevano i due figli: Aldo e la sua sorella maggiore Adriana. Aldo pareva più interessato a giocare, a correre in bicicletta che all’ascolto della musica leggera. Il radiogrammofono era dominio di Adriana. Nelle mattinate di quelle giornate estive del 59 suonava e risuonava il 45 giri di Harry Belafonte "Banana Boat". "Sai che mia sorella ha un quaderno con i testi delle canzoni?" mi diceva Aldo. L’avevo potuto vedere quel quaderno dalla copertina azzurra. Io ancora non conoscevo l’inglese, ma mi sembravano improbabili quelle parole:
"Workana Drinkaram. Delight comma and we want go home. Sta banana till the morning come. O mister Talimon Talimi Banana".
Mi portavo dietro i miei due flexi: "Con tutto il cuore" e "Signorinella", ma se il primo riusciva ad essere accettato con qualche riserva ("ma non è mica Betty Curtis che canta!" diceva Adriana in tono dispregiativo), De Sica non aveva nessuna chance di essere ascoltato. "E poi quei dischi di plastica rovinano la puntina!"
"Sì?". Ero incredulo. Lo diceva seriamente oppure era una scusa per suonare solo i dischi suoi. Aveva anche il 45 giri di Modugno "Piove" o "Ciao ciao bambina" come lo chiamava lei. "Ma guarda che li danno con il Musichiere" insistevo come a dire – quelli del Musichiere non sono mica gli ultimi del mondo, vuoi che diano dischi che rovinano le puntine dei giradischi? –
Intanto, come dicevo, la mia collezione da due dischi era passata a tre. A inizio ottobre del 59 era uscito "Ho scritto col fuoco". "Ho anche un disco di Mina" avevo annunciato trionfante. Ma sebbene per me fosse già una grande, in quell’estate del 59 se la filavano in pochi. Ad Adriana piaceva di più Betty Curtis. "Ma non hai visto Mina al Musichiere?"
In aprile al Musichiere Mario Riva aveva ospitato Luciano Tajoli, un cantante melodico, che bendato doveva indovinare i nomi dei giovani urlatori che uscivano da dietro un juke-box. Erano usciti nell’ordine: Jenny Luna, Tony Dallara, Mina, Gaber e Celentano.
Mina aveva cantato "Nessuno" in modo del tutto diverso da come l’avevano cantata a Sanremo Betty Curtis e Wilma De Angelis.
Ma Adriana non aveva visto la trasmissione e non aveva visto Mina nemmeno a "Buone vacanze" quando aveva cantato "Splish Splash".
A quel mio flexi Adriana aveva concesso un solo ascolto. "Scriviamo almeno le parole nel tuo quaderno… dai…"avevo supplicato inutilmente, confidando in un secondo ascolto.
Da mia sorella non era il caso di andare. Si era sposata da poco e dal viaggio di nozze era ritornata con una cartolina musicale acquistata a Napoli, che a me sembrava l’ottava meraviglia. Era di formato 20 x 12 su cui era incisa "Anema e core" Non c’era scritto chi la cantava, ma la canzone era bella. Non mi stancavo mai di vedere girare quella cartolina sul piatto e di ascoltare la melodia. Mia sorella aveva pure un extended play di Carosone ed uno dei Cetra. Del primo m’incantava "Mo vene Natale" con quelle voci registrate a velocità raddoppiata e che io chiamavo le voci delle paperine e dei Cetra mi piaceva "Evviva la radio a galena" con tutti quegli effetti curiosi.
"Ho scritto col fuoco" non lo portavo da lei. Avevo paura che mi dicesse di tutto, come quella volta che ero andato al cinema con Aldo a vedere "Le notti di Cabiria".
"Ma nol xe mica un film per putei!"
"Nol xera vietà. El xera scritto solo "adulti con riserva".
E poi rivolta a mia madre:
"Te sa che film che el xe andà a veder domenica tuo fio?"
A mia madre che non sapeva che film fosse, quelle "notti" associate ad un nome come Cabiria, facevano intuire che il film fosse qualcosa d’inadatto per i miei 10 anni e mezzo.
"Chi lo tien fermo questo qua!"
"Ma semo andai ai tersi posti, in loggion, mi e Aldo. " Quasi che più della pellicola che mia sorella non riteneva adatta alla nostra età, mi premesse sottolineare che non avevamo dilapidato una fortuna, anche se eravamo andati all’Odeon, una sala di prima visione.
"Sua mamma la saveva che se andava a veder quel film e no la ga dito niente".
Mi chiedevo che cosa ci fosse nel film che non avrei dovuto vedere.
Forse le due negre statuarie del night club che fanno il loro spettacolo quando arrivano Amedeo Nazzari e Dorian Gray? La stessa Dorian Gray? Quanto a Cabiria io la consideravo solo una macchietta. Omnia munda mundis. Non avevo capito che Cabiria faceva la vita. A me sembrava solo una poveraccia cui andavano tutte storte. Dopo tante peripezie aveva trovato un bravo giovane disposto a sposarla, ma alla fine le aveva portato via tutti i soldi che aveva nella borsetta.
Nel frattempo Adriana aveva comperato anche il 45 giri di Gilbert Becaud "Le jour où la pluie viendra". Il testo era stato inserito nel suo quaderno azzurro. Le giornate non iniziavano più scandite da "Banana Boat" di Harry Belafonte, ma da
Le jour où la pluie viendra
Nous serons, toi et moi
Les plus riches du monde
Les plus riches du monde"
Anch’io mi ero comperato un quaderno delle Regioni d’Italia sui cui mi ero trascritto il testo di "Con tutto il cuore". Quando andavo da lei, me lo portavo dietro. Con l’anno nuovo Adriana sarebbe andata a lavorare in sartoria con la madre. Io avevo già iniziato a frequentare la seconda media. Proprio uno degli ultimi giorni dell’anno mi fece ascoltare tutto "Ho scritto con fuoco". Una, due, tre volte. Potei scrivere tutto il testo. Come mi sembrava strano sentire prendere vita quel flexi che solitamente se ne stava muto compagno in un cassetto della scrivania della mia camera!
E come avrei voluto poter disporre di un grammofono anch’io. Avrebbero dovuto passare ancora cinque anni prima che io potessi avere il mio primo giradischi ed i miei primi 45 giri "veri".
Ai primi di novembre in Piazza Primo Maggio erano arrivate le giostre ed i baracconi per la fiera di Santa Caterina. Una di quelle tradizioni che permangono, continuando ad esercitare un fascino che non si è ancora perso e a richiamare pubblico, di piccoli e grandi.
Gli altoparlanti degli autoscontri non facevano che trasmettere la nuova canzone di Mina.
Abbronzate tutte chiazze
pelli rosse, un po' paonazze
son le ragazze che prendono il sol...
Ma ce n'è una che prende la luna!
Tintarella di luna,
tintarella color latte,
tutta notte stai sul tetto,
sopra il tetto come i gatti,
e se c'è la luna piena
tu diventi candida…
Salendo la rivetta con la borsa vuota e scendendo che era piena, stavo volentieri a guardare gli autoscontri e ad ascoltare Mina cantare. Una corsa costava cinquanta lire e non so quanto tempo mi perdevo con la borsa a pendoloni in mano, senza un soldo e tanta voglia di averlo, e la mamma che aspettava l’amido per stirare le camicie: "Quando che te se manda via no se sa mai quando che te torni!".
Aveva ragione. Una volta che mi mandarono a prendere il pane, intanto che la commessa serviva gli altri clienti feci anche in quell’occasione una scappata in giardino.
"Mia mamma mi ha detto di farti fare un giro in autopista." Farti fare! Se me lo dicessero oggi non so come reagirei, ma allora non si andava tanto per il sottile e ci andai, anzi, macché offeso!, soddisfattissimo di quel "farti fare". Con la Adriana, le trecce bionde tirate sulla nuca, che ci guardava, Aldo ed io fummo sulla piattaforma dei clienti che io, in quel momento, se me lo avessero chiesto, non avrei neanche tentato di ricordarmi che strada avevamo fatto per arrivarci. Eravamo tutti per aria. "La mamma vi raccomanda di tenere la destra" gridò Adriana impalata fra la folla, e partimmo.
Destra! Che destra e destra! Qui si trattava di vedere chi doveva guidare, altro che destra! Ma eravamo tutti e due della stessa idea e, nonostante Aldo mi rinfacciasse a ogni curva e anche sul rettifilo il pagamento della madre, non mollai un attimo il volante, sul quale entrambi ci eravamo buttati come gobbi.
Tin, tin, tin, raggi di luna
tin, tin, tin, baciano te.
Al mondo nessuna
è candida come te!
Tintarella di luna,
tintarella color latte,
tutta notte stai sul tetto,
sopra il tetto come i gatti,
e se c'è la luna piena
tu diventi candida
Io quella ragazza che prendeva la luna sul tetto me la immaginavo bionda, candida come Alessandra Panaro, la valletta del Musichiere…
Tira di qua, tira di là lui, sbattendo sui bordi della pista col fracasso che si può immaginare, ora a destra ora a sinistra e sui fianchi delle altre automobili, due volte bloccammo il traffico: la prima per un deragliamento, la seconda per un groviglio di macchine in mezzo al quale c’era la nostra…
e se c'è la luna piena
tu diventi candida
e se c'è la luna piena
tu diventi candida... candida... candida!
candida... candida... candida!
A un certo punto uno del baraccone spiccò un salto in corsa sulla pedana della nostra automobile, si prese il volante con la sinistra e, in piedi, ci guidò per il resto del giro che noi avevamo tutti e due le mani disoccupate sulle ginocchia.
Il cicalino. Fine corsa. Passato, finito.
Certo il luna park è davvero un'altra cosa rispetto alle giostre e ai baracconi. Ma soprattutto negli anni è forse mutato quel senso di magia e quella sorpresa di chi non aveva videogiochi, non aveva il televisore né i cartoni animati, di chi non internettava sulla rete, né conosceva i films di Guerre Stellari.
E aspettava i baracconi per salire sui baby luna, sorta di piccoli vagoncini orbitali a forma di astronave, oggi quasi reperto di modernariato, mentre le madri raccomandavano un giro solo perché con l'aria sicuramente ci si ammalava. Sì perché c'era sempre tanto freddo (freddo che culminava in genere proprio nei giorni in cui arrivavano le bancarelle con la loro mercanzia e così non si poteva sperare neppure in un anticipo di regali extra).
Bisognava aspettare solo Santa Lucia, che era senz'altro più simpatica perché portava regali senza pretendere soldi in cambio.
Santa Caterina era senza dubbio più divertente ma molto più esosa. Infatti servivano soldi per poter salire sulle giostre Per i più spavaldi c’erano anche le montagne russe. Montagne russe che oggi in uno qualsiasi dei parchi di divertimento che vanno per la maggiore sono almeno una trentina di volte più mozzafiato.
Un tempo comunque piazza Primo maggio veniva chiamata Place di Sante Caterine, ma anche Place dai Baracons, proprio perché quei giorni di novembre con la sagra, le giostre, le bancarelle erano attese da tutti. Per respirare odore di zucchero filato, profumo di mandorlato (ovvero torrone) per farsi ipnotizzare dalla voce di un venditore di piatti che riusciva a ruotarne come un giocoliere qualche dozzina pur di riuscire a vendere. Venghino, venghino... II congiuntivo approssimato affascinava anche gli studenti del liceo classico, i più fortunati, che potevano distrarsi dalle lezioni guardando fuori dalle finestre delle aule e fiondarsi per primi, appena suonava la campanella, sulle attrazioni preferite.
Passata Santa Caterina, il 25 novembre, i baracconi andavano a Gorizia per Sant’Andrea. Fra la santa e il santo appena il tempo di smontare le tende di qua e di ripiantarle di là. Sul Giardino Grande, che soltanto la sera prima era tutto un carnevale di confusione, calava il sipario. Un silenzio da veglione all’alba. Gli alberi facevano freddo e paura. Erano diventati grigi e nel grigiore del cielo che, insieme ai vapori grigiastri esalati dalla terra madida, condizionava il colore dell’ambiente, parevano fantasmi, e soltanto la basilica delle Grazie da una parte e il castello dall’altra, si potevano intravedere attraverso i rami stecchiti della foresta pietrificata, malinconicamente protesi nell’aria immobile, fumosa, sconsolata.
E noi, fra gli alberi, come fantasmi pure noi, muti, stupefatti, sgomenti, doloranti, a guardarci intorno il deserto, a cercare i segni di una vita che fino a ieri era ben vera, fervida ed eccitante, alla quale noi stessi avevamo partecipato, e che adesso invece (ma è mai possibile?) non esisteva più, inverosimilmente spenta, assurdamente scomparsa nel giro di una notte.
Passato Natale, accantonata l’Epifania, con la neve ancora sui tetti, nei cui angoli più freddi e perpetuamente in ombra, aveva lasciato qualche rimanenza, alla Candelora dicevano che eravamo a cavallo.
In realtà arrivati a San Biagio e benedette le gole in castello, si scendeva quasi al tramonto che c’era da accorgersi davvero che le giornate si stavano allungando e si sentiva che il freddo non era più quello. Neanche da mettere e il cappotto cominciava a pesare.
"Goio caldo mi o falo proprio caldo?"
Era una conferma ufficiale. Le date ci davano ragione L’inverno finiva e la primavera era in arrivo. Poteva capitare da un momento all’altro.
"Senti che aria! El par de riviver. Doman scometo che sul Cormor le vien fora le viole".
Eravamo di casa. Lo conoscevamo da sponda a sponda, metro su metro, albero su albero, sentiero dietro sentiero. Vi andavamo per amare la natura, per prendere aria, che in città ci mancava, per ricreare lo spirito, che ci mancava anche quello, per rinforzare i muscoli, che avrebbero dovuto essere alla pari con lo spirito, ma anche per spiare le coppiette in amore e per imparare da loro come si fa.
E cantavamo:
"Folle banderuola
che giri giri giri con il lampo.
Lassù dal tetto vedi che son tante
Le folli folli come te.
Tirintirintintin…."
Comunque le viole. Le trovavamo, le avremmo messe in mezzo bicchiere d’acqua come prova che la primavera era arrivata.
"Non temere se il cielo s’oscura
È una nuvola passeggera.
Fra le braccia mio amor ti rinserrò così
Ritornerà l’azzurro".
"Grassie, che bele, che profumo!".
E adesso le rondini.
A San Benedetto la rondine sotto il tetto.
"Ua ua ua ua ua ua ua ua
Ua ua ua ua ua ua ua uaaa..."