TODAVIA - di Minafan
 
 
 
 
Dopo circa una settimana di ascolti attenti e ripetuti, cerco di buttare giù qualche commento sul nuovo disco di Mina. E’ sempre per me un azzardo tentare quella che ai miei occhi appare come una vera e propria impresa: cercare di coniugare l’obiettività che deve esser propria di ciascuna analisi e le emozioni personali scaturite dall’ascolto di questa Voce incredibile, oggi più che mai grondante passione e bellezza. E allora tentiamo di azzardare un commento a questo Todavia, dove il suo talento tenta di far un po’ i conti con il passato più recente e di lanciare questa suprema Voce oltre i confini nazionali. In molti ci hanno provato nel passato, ma la sua innata pigrizia, il suo sano provincialismo, la sua naturale repulsione per certi ambienti dello spettacolo hanno fatto sì che questa immensa Voce rimanesse nel Mondo poco conosciuta rispetto alle sue effettive potenzialità.

Eppure, eppure: in Spagna 7 anni fa è uscito un disco, Minage, della giovane Monica Naranjo, star indiscussa della canzone popolare in patria e nel mondo sudamericano, tutto dedicato al repertorio di Mina (la Naranjo è grande fan della Mazzini). Oltre un milione di dischi venduti e grande successo di pubblico per tutti i suoi recital, ove brani come “Sobrevivirè” (Fiume azzurro), “Ahora ahora” e altri venivano rispolverati e consegnati a nuova vita (non sempre in maniera felice, sia chiaro). Almodovar poi ha spesso inserito suoi brani nelle pellicole da lui dirette: basti ricordare la famosa scena finale di Matador, nella quale troneggia sovrana la voce di Mina intenta a cantare quel classico che risponde al nome di “Esperame nel cielo”. In Argentina per tre anni è stato prodotto un musical “Mina…che cosa sei?”, che riproponeva numerosi pezzi del passato mazziniano recente e remoto, con grande successo di pubblico e critica. Addirittura Massimiliano Pani ha raccontato che il nome di Mina era stato proposto nel 1992 per aprire la cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici di Barcellona. Un nome che avrebbe messo d’accordo gli spagnoli, che non avrebbero apprezzato certamente una star d’oltreoceano, e i sudamericani, i quali invece non avrebbero gradito un’ interprete spagnola. Mina ovviamente rifiutò, ma fu difficile far capire loro che non si trattava solo di una questione monetaria. Dunque un interesse vivo e costante è continuato a permanere, nonostante la distanza territoriale e l’assenza così prolungata dalle scene

Lo scopo dell’operazione “Todavia” quindi è chiaro: coinvolgere un mercato fruttuoso come quello sudamericano, che non l’ha mai dimenticata, con brani per loro sconosciuti, ma di grande successo nel nostro Paese.
Dunque album inedito, o quasi, per il mercato estero, e, album di cover per l’Italia.
Il tema del doppio d’altronde è un po’ il filo conduttore di questo album: la copertina, i numerosi duetti, il confronto tra le vecchie registrazioni e quelle nuove costituiscono solo alcuni ravvisabili parallelismi e sdoppiamenti presenti nell’album.

Mina, si sa, non ha mai amato guardare indietro: lo ha detto spesso nelle sue interviste Massimiliano Pani, lo ha affermato sovente anche Lei, nella rubrica di posta pubblicata su Vanity Fair. Eppure credo che questa volta non le debba essere dispiaciuto più di tanto fare il punto della situazione, confrontarsi con il passato più recente, assaporando brani che hanno riscosso tanto favore in Italia, aggiornandoli con strumentazioni più moderne e fresche e rileggendole in una lingua diversa, alternativa, affine a quella italiana, ma per molti aspetti assai distante.

La scelta è caduta su brani di grande impatto. Non è un caso se sei dei 12 brani scelti siano i singoli di lancio degli album originali nei quali furono pubblicati (Grande amore, Succhiando l’uva, Volami nel cuore, Questione di feeling, Acqua e sale, Neve) ed altri tre brani singoli successivi (Portati via, Brivido felino, Come stai). L’intento primario è quello di privilegiare i momenti più emozionanti, ma anche più commercialmente rilevanti, per compensare certamente la mancanza di promozione e per percorrere in qualche modo un terreno sicuro e di sperimentato successo. In più due classici rivisitati e mai incisi in precedenza (Valsinha, Sin piedad) e due leggendarie pietre miliari del proprio repertorio, famose anche all’estero (Un anno d’amore, Parole Parole). L’unica scelta inusuale e fuori da questo schema è “Sei o non sei”, gioiellino di Bula Bula, scelta probabilmente per affinità musicale col mondo spagnolo/sudamericano (il brano infatti è un incrocio elegante fra pop e bossanova).

Il risultato è senza dubbio affascinante. Aleggia un’atmosfera ariosa, leggera, in alcuni momenti divertita, quasi live. A dimostrazione di questo c’è da sottolineare il gran lavoro svolto da Celeste Frigo al missaggio e alla registrazione delle tracce vocali: in alcuni momenti sembra davvero che Mina canti a tre passi dall’ascoltatore, tanto è corposa e presente la sua Voce.
L’esordio è spiazzante: Mina apre con i due brani più popolari (in Italia) della sua ultima produzione, due classiche canzoni minose, nella loro rigida contrapposizione fra strofa e ritornello. Un inizio appassionante. Il compito di aggiornarle musicalmente spetta a Nicolò Fragile, produttore tra i più richiesti della scena musicale italiana: Fragile non smonta nulla, non stravolge, ma si preoccupa soltanto di sottolineare ancora di più la maestosità dei due ritornelli, aggiornando strumenti e calcando la mano laddove le partiture originali giocavano sulla sottrazione. Per Grande Amor aggiunge batteria, basso e chitarre alla scarna orchestrazione originale (in cui trovavamo solo tastiere, programmazione e chitarra) a rendere più sanguigna e potente una canzone che sprigiona sensualità, passione e bellezza da ogni nota. Il risultato è dirompente. Mina affonda inesorabile, consapevole di trovarsi di fronte ad un pezzo di rara bellezza, levando la sua voce grazie a potenti scalate e tracimando violenza canora in ogni passaggio. Se possibile, ancora meglio dell’originale.

Per Vuela por mi vida, il confronto è con la bellissima orchestrazione di Paolo Gianolio, un vero gioiello di musicalità. L’approccio qui è più radicale rispetto al brano della Fasolino, perché l’intento è quello di evidenziare ancora di più il crescendo del ritornello: per questo l’esordio è assai più dimesso, proprio per sottolineare l’esplosione che di lì a poco coinvolgerà l’ignaro ascoltatore. Non a caso anche qui, in grande rilevo, ci sono le chitarre, a rendere più dinamico e maestoso il ritornello.
Cosa aggiungere della magnifica interpretazione di Mina? Forse che mi è sembrato quasi di risentire certe imperfezioni, piene di calore e carica erotica, presenti nel Live ’78. Già, una Mina da live ’78.

Il primo duetto spezza decisamente l’atmosfera iniziale.
Una sospensione sfacciatamente latina. Forse il duetto più “spagnolo”, nell’accezione più classica del termine. La rilettura del grande classico anni ’60, è affidata al massimo esponente del flamenco ai giorni nostri, e non è un caso se Mina si metta in un angolino: il pezzo è farina del suo sacco (arrangiamento e strumentisti sono tutti appartenenti all’universo musicale del cantante spagnolo), poiché il mondo evocato è quello dell’interlocutore. Non per questo il brano perde in fascino. Se mai, ne acquista. Un misto fra flamenco e jazz assai curioso e affascinante, preso in prestito da un film qualsiasi di Almodovar. Aleggia infatti in tutta la durata del brano la presenza del grande regista spagnolo (non solo perché il suo nome compare tra i credits per la traduzione del testo originale italiano). Soprattutto nell’intervento vocale “en travesti” di Mina, che ben contrasta con il registro caldo e pastoso di Diego El Cigala.
Una sospensione lussuosa e coinvolgente.

Il ritorno alle interpretazioni soliste è affidato a “Portati via”, classico pezzo “alla Mina”, qui presente nella sua veste originale. Il brano è buono, ma francamente, Mina ha cantato di meglio in questi ultimi anni. Penso a “Certe cose si fanno”, “Fra mille anni” o “Vai e vai e vai”. La versione spagnola tra l’altro mi sembra che presenti delle liriche un po’ “forzate”. Nello specifico, se si ascolta con attenzione la seconda strofa, si percepisce quasi uno sforzo da parte di Mina a far entrare i versi nella melodia. Continuo a ribadire poi che quei coretti finali, spezzino un po’ l’atmosfera drammatica. Sarebbe stato meglio fossero interpretati dalla stessa Mina, come accade in Grande amor.

Il secondo duetto è quello più sfacciatamente glamour. Tiziano Ferro è l’idolo del momento. Migliaia di ragazzine urlanti comprano sistematicamente ogni suo disco, ma, ultimamente, il ragazzo di Latina è riuscito a estendere la sua popolarità anche in quel settore generazionale a Lui non affine. Se nei primi concerti i padri e le madri erano solo in veste di accompagnatori, oggi li ritroviamo più partecipi e appassionati.
Non stupisce dunque la chiamata di Mina. In fondo, Ferro ha in repertorio, brani assai “minosi”: penso a “Sere Nere”, “Salutandotiaffogo”, “Imbranato” et similia, che magari presentano testi non conformi all’allure di una grande interprete, ma che posseggono melodie intriganti e coinvolgenti, queste sì assimilabili all’universo della Mazzini. “Questione di feeling” è un banco di prova notevole per il giovane cantautore. Il confronto è con l’ingombrante versione originale, a oggi forse il duetto italiano più celebrato e amato. Forse per facilitare il compito a Ferro, Massimiliano Pani, che firma qui il suo primo arrangiamento, “tizianoferrizza” la base ritmica. Ascoltate l’esordio. Potrebbe tranquillamente trattarsi di un singolo tratto dal fortunato “Nessuno è solo”, tanto le atmosfere appaiono similari alla recente produzione del cantante.L’impianto resta lo stesso, ma si avverte lo sforzo produttivo di rendere più conforme al mondo del giovane interprete un pezzo, per certi versi, distante dal suo mondo musicale. Con mio sommo piacere, c’è da dire che Ferro non gigioneggia eccessivamente (come temevo in un primo momento), limitandosi a svolgere il suo compito con estrema umiltà e partecipazione. L’impasto vocale fra le due voci è assai buono e, alla fine, risulta inutile qualsiasi confronto. Se la prima versione (con Cocciante) è patinatamente classica, questa è sapientemente moderna.
 

Corazon Felino, terzo duetto di Todavia, presenta un partner molto affine al precedente. Sconosciuto in Italia, Diego Torres è in patria il corrispettivo del nostro Ferro. La scelta dunque deve essere caduta sul rampante giovanotto non soltanto per motivi strettamente artistici, e non c’è nulla di male nel dirlo. In fondo la promozione dei dischi di Mina si basa ormai solo sul suo nome e su eventuali collaborazioni di “grido” e prestigiose. Niente televisione, niente concerti, niente interviste. Non smetterò mai di sottolinearlo, perché credo che sia un caso più unico che raro al Mondo, continuare a vendere dischi senza metter piede fuori da casa propria. Si parlava di Diego Torres. E di questa “Corazon Felino”, eletta a brano apripista dell’album. In questo caso il confronto con l’originale non si pone proprio (per il sottoscritto). Non ho mai nascosto che per me, Celentano, ha molta più ragione di esistere in televisione che nei dischi. In “MinaCelentano” poi, confrontandosi con una partner di tale carica e potenza vocale, i suoi limiti sono emersi tutti. A sua parziale discolpa, c’è da dire che molti dei brani di quel disco sono (per atmosfere, testi e musicalità) molto più vivici al mondo di Mina che non al suo. E non poteva che essere così, visto che all’epoca del milionario album di duetti, Celentano era assai in ribasso nel panorama musicale italiano (e nessuno lo sottolinea mai). Dunque questa versione rende finalmente giustizia ad una canzoncina pop assai affabile. L’arrangiamento, anche in questo caso, aggiorna, ma non stravolge. La canzone forse perde un po’ in erotismo, ma ne guadagna in dinamismo e allegria. Un brano pimpante e allegro, con una Mina mollemente felina e un Torres assai convinto.

 

Il ritorno di Mina in veste solista è affidato questa volta a “Uvas maduras”, brano firmato dalla triade “Zucchero-Saggese-Vergnaghi”. In questa versione spagnola che mantiene l’arrangiamento originale, Mina è più che mai femmina. Felina, sensuale, eroticissima. E’ un vero piacere ascoltarla quando soffia quelle vocali, quando sguscia maliarda tratteggiando sapori e odori di vendemmia e sesso. E i cori nel ritornello finale (non presenti in modo così di rilievo nella versione di “Veleno”) non fanno che ammantare di fascino il suo canto grazioso e gentile. Anche qui, se possibile, anche meglio dell’originale.

 

Valsinha è una parentesi lussuosa e a sé stante. Non è un caso se il compito di rivisitarla sia caduto sul grande maestro Gianni Ferrio. Un esempio su tutti per dimostrare la sua grandissima maestria nell’arrangiare brani dal sapore sudamericano è la strepitosa “Senora melanconia”, perla misconosciuta contenuta in “Mina con bignè”. Il brano, interpretato in Italia dalla grande Mia Martini (con una traduzione di Sergio Bardotti), è un toccante e lepido bozzetto su una passione travolgente, rifiorita sulle macerie di un amore spento, soffocato dal via via della routine quotidiana. Un piccolo gioiello. In quale chiave rileggerla? La scelta è caduta sulla grande orchestra d’archi. E, ad ascolto multiplo avvenuto, non si riesce davvero ad immaginare quale altra opzione avrebbe potuto ammantare di così tanto fascino il canto di questi due grandi artisti a confronto.  Il tocco del Maestro Ferrio infatti è dotto, ma contenuto, e gli archi paiono quasi rappresentare sonoramente il suono delle onde che si infrangono su una spiaggia. E quel violino struggente a evocare la rinascita dalla spuma di una nuova passione. Il duetto con Chico Buarque dev’essere stata la collaborazione alla quale Mina teneva di più (insieme certamente a quella con Serrat). Lo dimostra l’attenzione e la cura con la quale affronta il brano: si sente, si percepisce che Mina è attenta ad ogni singola nota, cercando di sprigionare tutto il fascino del suo canto, attenta a non strafare e a non prevaricare l’intervento vocale dell’autore, qui più che mai vibrante e intenso. L’impasto vocale è assolutamente perfetto e la sintonia eccellente.

Un pezzo da 110 e lode. Bacio accademico compreso.

Nieve è, forse, il brano che presenta una rielaborazione più marcata. Se i precedenti brani mantenevano l’impostazione originale, seppur con modifiche legate alla modernizzazione delle sonorità, qui l’approccio è più radicale. Lo stravolgimento appare efficace e moderno. La canzone perde certamente quell’alone di mistero e algida perfezione della versione originale, ma acquista leggerezza e carica (anche qui si respira un’atmosfera da concerto dal vivo). Utile, a tal scopo, il coinvolgente assolo di sax del bravissimo Gabriele Comeglio. E poi che dire di quei cori, nei quali Mina tira fuori tutto il lato più baraccone e “gayo” del suo canto? Semplicemente adorabili.

Agua y sal, ai primi ascolti quest’estate, non mi aveva convinto moltissimo. Bosè mi sembrava assai rigido e poco convinto e la traduzione in alcuni casi un po’ forzata. Riascoltando il brano su un supporto adeguato ho invece potuto apprezzare di più il connubio, certamente non il migliore del disco, ma assai coinvolgente, soprattutto grazie ad un’ orchestrazione ancora una volta fresca e leggera ( anche qui c’è lo zampino di Nicolò Fragile). E qui aprirei una piccolissima parentesi. Spesso e volentieri ci si dimentica che un disco, per essere apprezzato a pieno, debba essere ascoltato su un supporto audio consono; le semplici casse di un computer, le cuffie, magari a buon prezzo, di un mp3 da quattro soldi, sovente, tolgono molto alle sonorità originali di un brano, rendendo i suoni piattamente uniformi. Non è un caso se, ascoltandolo su youtube, il duetto mi fosse sembrato monocorde. Grazie ad uno stereo di media potenza ed efficienza, Agua y sal è uscita fuori in tutta la sua freschezza estiva. Il pezzo potrebbe, a mio avviso, addirittura ambire a diventare secondo singolo, se non fosse che il brano, contenuto anche nel disco di Bosè, non assolverebbe in pieno al compito di promozione del solo Todavia. Probabilissimo quindi che si opti per il duetto con Ferro.

No se si eres tu, come dicevamo, è il brano più sconosciuto della selezione e anche quello che permette a Mina di modificare ancora una volta l’approccio timbrico. Mina è infatti una delle pochissime al Mondo a poter modificare così radicalmente il suono della propria voce: violenta e rabbiosa in “Grande amor”, travestito in “Un ano d’amor”, drammatica e struggente in “Sin piedad”, malinconica e dolce in “Valsinha”, nonchè bambina impertinente, come in questa “No se si ere tu”, che mantiene l’arrangiamento originale, ma presenta un’intervento vocale più scherzoso e partecipe (pieno di gridolini, sussurri, respiri e guizzi inattesi).

Non ho ben compreso lo stupore alla base di certe critiche circa il duetto di Mina con Zanetti. Non perché non sia criticabile la scelta (anche chi scrive è assai perplesso sul risultato finale), ma perché Mina non è nuova a “convocazioni” apparentemente senza senso. Mina è la stessa che canta con Chico Buarque e Beppe Grillo. Mina è sempre quella che incide col misconosciuto Filippo Troiani e qualche anno dopo con Fabrizio De Andrè. Mina è la stessa che per anni ha inserito nei suoi cori la devastante voce di Lele Cerri e quella che canta con Lucio Dalla. Mina è la stessa che interpreta magistralmente “Someday in my life” con Mick Hucknall e quella che chiama l’impaurito Massimo Lopez per duettare nella bella “Noi”. Operazioni non condivisibili certamente, ma che rientrano in una logica assai bizzarra, ove talvolta viene privilegiato l’entusiasmo della Mina persona, rispetto alla Mina cantante. Ed ecco allora Zanetti. Mina è tifosa. E solo un tifoso altrettanto sanguigno come me può capire cosa vuol dire vincere uno scudetto dopo così tanto tempo. L’incontro deve essere visto in quest’ottica, festosa e goliardica. Certamente il brano era quello che si prestava più di tutti ad una lettura sgangherata, come questa. Il problema non è tanto nel brano o nell’arrangiamento, sebbene quest’ultimo mi sembri assai freddino, quanto nell’agghiacciante prestazione vocale del calciatore, qui ispiratosi certamente al “Celentano -Topo Gigio” del brano “Dolce fuoco dell’amore” (chi ha ascoltato MinaCelentano sa di cosa sto parlando). E proprio col simpatico topolino sembra colloquiare Mina durante tutto il brano. Un peccato che, tutto sommato, le si perdona volentieri.

Il duetto con Serrat arriva subito a farci ricordare cosa Mina è capace di fare quando è stimolata da un partner all’altezza. “Sin piedad” arriva a distanza di 24 anni da “Ahi, mi amor”, di 35 dalla struggente “Ballata d’autunno” e di 38 dalla eccezionale “Bugiardo e incosciente”. Tutti brani prelevati dal repertorio del grande maestro catalano e tradotti dalla penna acuta di Paolo Limiti ( si stenta a crederlo davvero…). Pare che Mina abbia chiesto a ciascun interprete di scegliere quale brano preferissero rileggere in sua compagnia: Serrat ha proposto questo brano della sua produzione recente, sconosciuto ovviamente ai più, ma assai coinvolgente. Il pezzo, una ballatona drammatica, viene qui riproposta con una strumentazione efficace- tastiere, batteria, basso e chitarra- a ricostruire la scena di questo amore tormentato e sofferto (e a rendere ancora più morboso e appassionante il tutto, c’è il serrato colloquio delle due voci, quasi frenetico in alcuni punti). Inutile parlare della bravura di Mina in questo pezzo. Già solo quel salto di tono quando Lei pronuncia “..sueno contigo...” vale da solo l’intero prezzo del cd. Un brano entusiasmante e un ottimo duetto. Il migliore insieme a quello con Buarque.

 

Si termina in solitudine e Mina dice arrivederci all’ascoltatore con una struggente “Como estas”. Una rilettura bellissima, sottolineata da una chitarra dal sapore spagnoleggiante a ricordarci che questo disco è anche dedicato ad un certo paese, ad un certo pubblico, ma sempre mantenendo la propria cifra stilistica. E qui, entra in gioco l’efficace copertina di Balletti, ove Mina si specchia e ritrova se stessa. Con occhi diversi.

 

Todavia, a conti fatti, è il disco più fresco e pop dell’ultima Mina, in attesa del prossimo disco di classici realizzato in collaborazione del grande maestro Ferrio.

 

In fondo a qualsiasi discorso, poi, c’è sempre Lei, con quella Voce d’acciaio, capace di inerpicarsi per vette sconfinate e sprofondare in abissi cavernosi, di evocare il freddo e il caldo, di emozionare come solo le grandi voci, gli infiniti talenti possono fare.

 

Sempre e per sempre.

 

P.S. All’interno del cd c’è una riuscita elaborazione grafica, grazie alla quale la Mina allo specchio appare con il viso distorto, in omaggio ad alcuni capolavori di Pablo Picasso. Sicuramente non è voluto, ma a me, più che a Picasso, questa immagine fa pensare ad una delle attrici feticcio di Almodovar, quella adorabile Rossy De Palma, dal viso spigoloso e dalla affascinante bruttezza.

 

Mina & Diego "El Cigala" - Un año de amor